LA SCIENZA DEL RESPIRO

LA SCIENZA DEL RESPIRO

Max Damioli per Evolution Forum

 

Sono poche le funzioni fisiologiche di base a cui l’uomo moderno ha prestato poca attenzione, una di queste è il respiro. L’importanza del cuore, ad esempio, è ben nota a tutti, soprattutto per il dilagare delle malattie coronariche.

Allo stesso modo è facile osservare la preoccupazione che oggi si dedica agli organi coinvolti nel processo digestivo, basta notare la gran quantità di farmaci tesi a migliorarne le funzioni.
Al contrario gli organi della respirazione sono largamente ignorati, fatta eccezione per le
malattie associate al fumo. Considerando che ognuno può prontamente modificare il flusso
del respiro, mentre il controllo e le funzioni degli altri organi interni rimane inaccessibile
alla persona media, questa scarsa considerazione risulta ancora più stupefacente.
In ogni caso la conoscenza delle dinamiche del respiro non può rimanere avvolta
nell’ignoranza. Comprendere alcuni dei principi base del processo respiratorio e delle sue
interazioni con il corpo e la mente permette di avere intuizioni chiare e pratiche sul
funzionamento della respirazione, dato che il movimento dei muscoli per inspirare e
espirare è solo la manifestazione più grossolana del processo del respiro.
Gli effetti del respiro si estendono al lavoro del cuore e dei polmoni e anche alle sottili
interazioni fisiologiche, come, per esempio, i processi molecolari con cui viene prodotta
l’energia nel corpo.

 

RESPIRAZIONE CELLULARE

Tutti gli organismi, umani, vegetali o animali, sono composti di una moltitudine di minuscole unità viventi chiamate cellule. Sono queste cellule e il modo in cui sono organizzate in tessuti e organi specifici, a formare il corpo fisico. Questa organizzazione – la vita stessa di queste cellule e quindi dell’organismo – dipende da un continuo rifornimento di energia.

Di solito pensiamo che il cibo che mangiamo fornisca energia in termini di carboidrati, proteine e lipidi, ma questi componenti sono completamente inutili al corpo come fonte di energia a meno che non vengano convertiti in qualcosaltro che possa essere utilizzato dalle sue cellule.

In altre parole, si dice spesso che noi bruciamo carboidrati nel corpo, ma cosa vuol dire? 

Se i carboidrati vengono bruciati nei miei tessuti, perché non fa male? 

Perché il grasso non sfrigola? 

E dove vanno a finire fumo e cenere? 

Se faccio ginnastica vigorosamente in una stanza buia, non dovrei riuscire a vedere la luce prodotta dai carboidrati bruciati? 

Si dice che il corpo sia composto d’acqua al 88%. Come faccio a bruciare i carboidrati in così tanta acqua se non riesco mai nemmeno ad accendere il camino quando la legna è umida? 

L’energia prodotta da qualcosa che brucia rapidamente si manifesta di solito come calore e luce. Il fuoco brucia sostanze che contengono carbonio e se la combustione è efficiente, insieme ad un rilascio di energia sotto forma di calore e/o luce, il risultato finale sarà la formazione di anidride carbonica (CO2), acqua e cenere. Il calore può essere usata per muovere un motore a vapore. Il motore di un’automobile, invece, è messo in moto da una combustione più rapida, ossia dall’esplosione della benzina nella camera di scoppio e una delle pareti del cilindro è spinta da questa esplosione. Quindi una sequenza controllata di esplosioni in una serie di cilindri va girare un’asse che a sua volta muove le ruote dell’auto.

Ma come fa il nostro corpo a incanalare l’energia? 

Le cellule devono avere energia, ma non funzionano a esplosione. 

Tutti gli organismi viventi si procurano energia da una “fornace” a combustione lenta. Questa fornace rilascia energia da un rifornimento costante di carburante che combina lentamente con l’ossigeno. 

In un sistema a combustione rapida l’ossigeno (O2) presente nell’aria si combina istantaneamente con il carburante e produce un fuoco immediatamente visibile. Questa tipo di reazione, i cui prodotti sono CO2, acqua, calore e luce, può essere parecchio impressionante, come nei petardi. 

Invece, quando il carburante è consumato lentamente , l’energia viene comunque prodotta, ma più lentamente, ed è visibile attraverso una fiamma stabile. Se il processo è molto lento la luce potrebbe non essere visibile per niente. I sistemi biologici (cioè organismi viventi) fondamentalmente consumano il loro carburante molto molto lentamente.

Il carburante che noi usiamo deriva effettivamente dai carboidrati e lipidi che mangiamo e l’energia che ne deriva in combinazione con O2 deve essere prodotta in circostanze molto speciali per mantenerla in una forma che sia al tempo stesso utilizzabile e sicura. 

Ecco perché la reazione avviene in minuscole sottounità della cellula che si chiamano mitocondri. Questi contengono una serie di proteine specializzate, o enzimi, chiamati sistema citocromo ossidasi che prende l’energia derivante dall’ossidazione del cibo e la trasporta a una molecola di immagazzinamento di energia chiamata adenosin trifosfato, o ATP.  

Presente in tutti i sistemi biologici in natura, per praticità possiamo pensare all’ATP come all’unità base di riserva energetica per la cellula. Ha la capacità di trasportare energia all’interno delle cellule del corpo il quale, in cambio, mantiene le reazioni chimiche necessarie per il normale funzionamento della cellula.

L’effettivo processo del respiro avviene quindi all’interno della cellula dove il carburante nutritivo viene bruciato con ossigeno per rilasciare energia. 

Naso, trachea, polmoni, sistema respiratorio e tutti i muscoli che li controllano, agiscono per trasportare o modificare O2 dall’aria circostante e per renderlo prontamente disponibile alle singole cellule del corpo. Ognuno di questi organi gioca un ruolo cruciale nel determinare il rifornimento di ossigeno, cioè di energia disponibile, alle cellule a ogni livello del corpo. Un cambiamento nella funzionalità in uno qualunque di questi sistemi potrebbe potenzialmente alterare l’intera produzione di energia all’interno del corpo.

 

SISTEMI CIRCOLATORIO E POLMONARE

Affinché l’ossigeno sia disponibile nella cellula per la respirazione, deve intraprendere un interessante viaggio dall’atmosfera attraverso i polmoni, il sistema circolatorio e infine nella cellula.

Dopo che l’aria è stata inalata attraverso il naso e nel torace, incontra la più grande conduttura per i polmoni, la trachea. Questa è una struttura liscia a tubo che comincia appena sotto la laringe, o pomo d’Adamo. 

Poco dopo si divide in due tubi più piccoli, ognuno diretto a un polmone. Queste condutture, chiamate bronchi, si diramano come le fronde di un albero diventando sempre più piccole fino a diventare microscopiche. 

Dopo circa quindici livelli di divisione terminano in minuscoli bronchioli e ognuno di questi a sua volta termina in una serie di piccole sacche d’aria chiamate alveoli. Queste sacche d’aria sono talmente minute che il tessuto polmonare guardato a occhio nudo appare solido e carnoso. In realtà gli alveoli assomigliano molto a delle bolle, hanno pareti – spesse solo una cellula – che sono particolarmente sottili e membranose. 

E’ qui che avviene lo scambio gassoso.

Una rete di sottilissimi capillari avvolge ogni alveolo; i capillari sono così sottili che le cellule del sangue  devono letteralmente deformarsi per passare. Nel respirare, l’ O2 nell’aria scende lungo la trachea, attraverso il sistema bronchiale fino agli alveoli dove entra nel flusso sanguigno che li circonda.

Affinché questo processo avvenga in maniera efficiente ci dovrebbe essere un equilibrio ideale tra la quantità di sangue che scorre nei capillari per assorbire ossigeno e la quantità di ossigeno portata agli alveoli attraverso il respiro. L’osservatore casuale potrebbe pensare “Questo è ovvio”.

Ma la fisiologia del polmone mostra che il sangue non è distribuito uniformemente  sull’intero campo polmonare. 

E’ soggetto alla gravità e nella posizione eretta c’è molto più sangue nella parte bassa del polmone che in quella alta. Invece il flusso libero di gas dentro e fuori dagli alveoli è maggiore nella parte alta del polmone, quindi questo processo di trasferimento dell’ossigeno (dall’aria al sangue) non è necessariamente così efficiente come appare a prima vista. Il grado di inefficienza può essere ridotto non solo compensando i riflussi nei polmoni, ma anche dal modo in cui respiriamo abitualmente.

Una volta che l’ossigeno è entrato nel flusso sanguigno, viene trasportato attraverso i capillari per mezzo di due meccanismi fondamentali: può essere legato a una molecola di emoglobina nei globuli rossi o può essere direttamente disciolto nel sangue. In pratica quasi tutto l’ossigeno presente nel sangue viene trasportato per mezzo dell’emoglobina.

Questa molecola è formata da quattro catene proteiche legate a un atomo di ferro, ed è proprio questo atomo di ferro ad attrarre il gas di O2 e che ne facilita il trasporto attraverso la circolazione, quando O2 si lega all’atomo Fe il sangue appena ossigenato diventa di un rosso vivo.

L’emoglobina può anche trasportare CO2, un prodotto di “scarto” della cellula, che raccoglie per il viaggio di ritorno al cuore e ai polmoni dopo aver consegnato il suo O2. La combinazione di CO2 con l’emoglobina dà al sangue un colore bluastro e questo è il motivo per cui il sangue arterioso è di un rosso brillante mentre quello venoso è più scuro.

Normalmente O2 e CO2 dovrebbero essere le uniche due molecole che si legano all’emoglobina. In realtà altri gas presenti nell’aria possono entrare nel flusso sanguigno attraverso i polmoni e legarsi ad essa, escludendo O2. Una sostanza molto comune che fa questo è il monossido di carbonio, che è molto concentrato sia nel fumo di sigaretta che nei gas di scarico delle automobili. Avendo un’affinità con l’emoglobina che è 240 volte superiore a quella di O2, il monossido di carbonio si allaccia stabilmente alla molecola di emoglobina, escludendola dal sistema di trasporto dell’ossigeno. Questo comporta una diminuzione dell’emoglobina disponibile a trasportare O2, questo fenomeno si chiama “anemia” relativa. Un fumatore, quindi, può avere dal 5 al 15% della sua emoglobina legata permanentemente al monossido di carbonio, anche quando non sta fumando.

Una volta che l’emoglobina è stata ossigenata, deve ancora viaggiare per tutto il corpo per soddisfare i bisogni di ogni singola cellula e la forza motrice che spinge il sangue attraverso il corpo è ovviamente il cuore.

Il cuore è diviso in due sezioni separate da un punto di vista funzionale: la parte destra prende il sangue venoso non ossigenato (ricco di CO2) dal corpo e lo pompa nei capillari che avvolgono gli alveoli, dove avviene lo scambio gassoso. Dopodiché questo sangue arterioso nuovamente ossigenato viene ridistribuito in tutto il corpo dal lato sinistro del cuore. 

Lungo il suo percorso, il sangue ossigenato si muove attraverso vasi sanguigni sempre più piccoli fino a raggiungere capillari piccoli come quelli che circondano gli alveoli. Lo scambio di gas che si avrà a questo punto, è simile a quello nei polmoni, ma questa volta avviene tra l’emoglobina e una cellula. Qui la CO2 di scarto dalla cellula viene scambiata con O2 dall’emoglobina del globulo rosso, impoverendo il sangue di ossigeno e facendolo diventare bluastro. Il sangue venoso così formato viaggia attraverso vasi sempre più larghi fino a raggiungere il lato destro del cuore da dove è rimandato ai polmoni per completare un altro ciclo.

 

LA MECCANICA DEL RESPIRO

Finora il sistema respiratorio è stato analizzato su livelli che non sono visibili all’osservatore: interazione molecolare, trasporto microscopico e anatomia interna. 

Il centro della discussione ora si sposta più vicino alla superficie del corpo, così da studiare l’organizzazione e l’azione di quelle strutture che creano la forza motrice capace di spostare l’aria dentro e fuori dal corpo. 

Tutti gli organi responsabili del movimento dell’aria nel corpo e della distribuzione di O2 risiedono nel torso. Il torso può essere suddiviso in tre regioni: il torace, o petto, che ospita cuore e polmoni; l’addome, che comincia subito sotto al torace e ne è separato da un foglio di muscolo, il diaframma, e contiene gli organi della digestione; infine la pelvi, che si estende dalle anche fino alla base del torso e ospita gli organi di eliminazione e riproduzione. La pelvi, per i fini di questa esposizione, verrà considerata come continuazione dell’addome.

Osservando solo la struttura ossea, i muscoli e la pelle, senza gli organi interni, il torso può essere visto grosso modo come un cilindro, leggermente appiattito, così da essere più largo che profondo se osserviamo la sua sezione.

La colonna vertebrale, che corre verticalmente in centro alla schiena, parallela all’asse maggiore del “torso-cilindro”, fornisce il sostegno strutturale per l’intero torso, comportandosi da impalcatura intorno alla quale gli altri tessuti si organizzano. La colonna vertebrale è composta da piccole ossa che si chiamano vertebre. Le vertebre sono impilate una sull’altra e sono separate da dischi di un tessuto adatto ad assorbire gli shock. Da ognuna delle 12 vertebre toraciche, o dorsali, originano 2 costole, una per lato.

Le costole viaggiano parallele tra loro e si curvano in avanti e verso il basso; le prime dieci si incontrano sulla linea mediana e si fondono con lo sterno, a formare la “gabbia toracica”. Le costole e le vertebre sono unite da una serie di piccole articolazioni che permettono leggeri movimenti a cardine, simile al movimento della maniglia di un secchio. L’insieme di costole, sterno, colonna vertebrale e le articolazioni che li legano, forma le pareti della regione toracica, o petto.

Dal momento che le costole gradualmente aumentano in lunghezza man mano che si prosegue verso il basso del torace, la parte più larga del torace è il settore inferiore. Alle costole inferiori, allo sterno e alla colonna è attaccato un robusto strato muscolare piatto – il diaframma. 

Questo  divide il torso in due cilindri più piccoli, impilati uno sopra l’altro – la cavità toracica sopra e la cavità addominale sotto. I limiti della cavità addominale includono la colonna vertebrale, i muscoli che la sostengono e il pavimento pelvico, tutti relativamente rigidi e fissi;  gli organi addominali, appena sotto la superficie del diaframma, si estendono parzialmente nella cavità toracica.

Numerosi strati sovrapposti di muscolo, che si estendono dalle coste alla pelvi, formano le pareti frontale e laterali dell’addome.

Il diaframma, che separa il torace dall’addome, nella sua posizione di riposo non è piatto ma piuttosto si gonfia  verso la cavità toracica come un paracadute, o cupola. Per questa ragione i suoi movimenti non sono visibili direttamente sulla superficie del corpo e bisogna dedurne l’attività basandosi sugli effetti che i suoi movimenti hanno sugli altri tessuti del corpo.

Immediatamente sopra il diaframma ci sono i due polmoni e in mezzo a loro è posizionato il cuore. In effetti i polmoni non toccano direttamente il diaframma, dato che sono interamente avviluppati da un doppio strato, estremamente sottile di un tessuto chiamato pleura. Normalmente i due strati sono in diretto contatto tra loro, leggermente umidificati da una piccola quantità di fluido pleurico che funziona da lubrificante, permettendo ai due strati della pleura di scivolare liberamente uno sull’altro. 

Lo strato più interno della pleura avvolge completamente l’esterno di ognuno dei due polmoni, mentre lo strato esterno della pleura ricopre la superficie interna del torace e il lato toracico del diaframma. Siccome i due strati di pleura sono così strettamente a contatto fra loro, qualunque movimento delle pareti del torace o del diaframma viene trasmesso ai polmoni e viceversa. Se per esempio il diaframma si muove verso il basso o le coste si espandono verso l’esterno, i polmoni seguiranno, e nel movimento si espanderanno. Questi sono in effetti i due meccanismi principali con cui l’aria entra nei polmoni.

L’afflusso d’aria nei polmoni avviene quando la struttura che li circonda si espande, tirandoseli dietro. Ne risulta un’aspirazione che “succhia” l’aria dalle vie aeree superiori, attraverso la trachea, l’albero bronchiale, fino agli alveoli, dando quindi luogo all’inspirazione.

 

Tornando a considerare la cavità toracica come un cilindro, si può produrre un aumento del suo volume – e la conseguente inalazione – in tre modi: 

  • espandendo il pavimento diaframmatico verso il basso, 
  • espandendo le pareti del cilindro verso l’esterno, 
  • muovendo la sommità del cilindro verso l’alto.

Queste tre fasi di respirazione vengono definite rispettivamente: respirazione diaframmatica, toracica o pettorale e clavicolare.

Come vedremo queste fasi avvengono in sequenza quando si respira alla massima capacità come nel respiro yoga completo.

L’inspirazione diaframmatica si ottiene quindi muovendo il diaframma verso il basso. Questo come si fa? Perché si muove verso il basso? 

Il diaframma, come tutti i muscoli, può assumere due stati, uno stato attivo contratto, quando le singole fibre muscolari si accorciano, o uno stato passivo rilassato in cui le fibre muscolari raggiungono la massima lunghezza. Nel suo stato rilassato il diaframma ha la forma di un paracadute a cupola con la gobba verso l’alto. Durante la contrazione l’allentamento residuo si annulla quando le fibre muscolari si contraggono. Quindi il diaframma tende ad assumere la superficie più ridotta possibile che – essendo attaccata ai lati del cilindro – lo appiattisce da una cupola a un disco. Questo aumenta marcatamente il volume della cavità toracica. Ma quando il diaframma scende, diminuisce il volume della cavità addominale, ecco quindi che se le pareti addominali sono rilassate, sono libere di muoversi passivamente verso l’esterno ristabilendo il volume necessario per gli organi addominali.

Dei tre tipi di respiro menzionati, la respirazione diaframmatica è quella fisiologicamente più efficiente. La maggior parte del sangue in circolo nei polmoni, obbedendo alla legge di gravità, va alla parte più bassa e si verifica quindi un’espansione di quest’area ( anche se in certa misura tutto il polmone si dilata). 

Siccome uno degli obiettivi della respirazione è di esporre il sangue nei capillari all’aria, la respirazione diaframmatica in posizione eretta è particolarmente efficace. E’ anche molto interessante notare che neonati e bambini piccoli utilizzano esclusivamente il diaframma per respirare. La respirazione toracica diventa possibile solo molto tempo dopo la nascita, alla maturazione della struttura ossea. 

Il secondo meccanismo principale di far entrare aria nei polmoni è di espandere il diametro del torace il che significa ruotare le coste attorno alle  loro articolazioni  con le vertebre. Un gruppo di muscoli specializzati, i muscoli intercostali (cioè la carne che si mangia quando si fanno le costine alla griglia!) attua questa funzione. Questi muscoli consistono di due strati, esterno e interno. 

I muscoli esterni sono allineati in maniera da far “dondolare” le coste in avanti e verso l’alto facendole girare a perno sulle loro articolazioni con le vertebre. Questo fa aumentare il diametro del torace e di conseguenza i polmoni si espandono, risucchiando aria negli alveoli per riempire il nuovo spazio che si è creato. 

Gli intercostali interni attuano esattamente la funzione opposta, tirando le coste all’interno e verso il basso, dando luogo a una riduzione di volume dei polmoni.

La respirazione toracica riempie di aria la parte mediana e alta dei polmoni ma non è così efficace come la parte bassa. Quando il corpo è eretto infatti, la maggior parte del sangue è nella parte bassa , nelle aree più soggette a gravità, e quindi l’aria non si mischia accuratamente con il sangue se il respiro viene preso espandendo le coste. Inoltre la respirazione toracica, per riuscire a ottenere la stessa fusione sangue/gas, richiede più lavoro che non una respirazione diaframmatica  lenta e profonda; siccome bisogna lavorare di più, c’è bisogno di più O2 e il risultato è che uno si trova a respirare con maggior frequenza. Infine c’è più sangue che deve circolare attraverso i polmoni e questo richiede più lavoro al cuore. 

Quindi quanto lavoro il sistema cardiovascolare deve fare, è direttamente proporzionale a quanto efficacemente uno respira. 

Il terzo tipo di inspirazione, clavicolare, è significativo solo quando è necessaria la massima quantità di aria. Il nome deriva dalle due clavicole, che vengono leggermente sollevate al termine della massima inspirazione, dato che questo movimento espande e allunga l’estremità superiore del cilindro toracico e, di conseguenza, l’apice dei polmoni. La respirazione clavicolare entra in gioco solo quando la richiesta di ossigeno dal corpo è veramente alta.

I tre tipi di inspirazione possono essere coordinati in un unico esercizio fluido in cui si prende un respiro il più profondo possibile. Questo è un respiro yoga completo che ha una fase diaframmatica, una toracica e una clavicolare. Inizia con una contrazione del diaframma, il cui risultato è una leggera espansione delle coste inferiori e una protrusione dell’addome, ossigenando quindi i lobi inferiori dei polmoni.

Poi nella fase toracica del respiro si espande la porzione mediana dei polmoni, con un movimento del torace verso l’esterno. Alla fine dell’inspirazione ancora più aria viene inalata con il leggero sollevamento delle clavicole, quindi espandendo l’apice dei polmoni.

Nella sequenza quindi ogni fase dell’inalazione agisce su una particolare area dei polmoni.

E ora che i polmoni sono pieni d’aria al massimo della capacità, come si fa a svuotarli? Quale azione ha come risultato l’espirazione? Rilassarsi!

Ognuno di noi sa com’è fare un sospirone, o lasciare andare un profondo respiro in un movimento completamente rilassato e passivo. Nessun muscolo si contrae per spingere fuori l’aria. E’ come se i polmoni stessi tirassero diaframma e coste verso l’interno.

In effetti, questo è esattamente ciò che accade. I polmoni si comportano come se fossero elastici e si restringono per tornare alla loro taglia originale non appena le forze che ne hanno provocato l’espansione vengono rilasciate – proprio come si sgonfia un palloncino non appena allentate le dita che lo chiudono. La ragione di questo ritorno elastico è piuttosto affascinante. 

Proprio come un palloncino, il tessuto del polmone ha delle fibre elastiche. Ancora più importante, l’elasticità è legata ai milioni di milioni di piccole cavità rotonde, gli alveoli. Ognuno di questi alveoli è foderato internamente da un sottile strato di un fluido a base proteica che si chiama surfattante, che è il segreto dell’elasticità dei polmoni dato che il surfattante ha una proprietà, comune a tutti i fluidi, nota come tensione di superficie.

Si può spiegare osservando una bolla di sapone. Le pareti della bolla, fatte prevalentemente di acqua con l’aggiunta di un po’ di sapone, sono liquide. Quando si gonfia la bolla, i suoi bordi si ricongiungono di scatto a formare una sfera, mentre lo strato esterno dell’acqua saponata esercita una forza, o tensione, di richiamo che le fa assumere la superficie più piccola possibile, che nelle tre dimensioni è la bolla. La tensione di superficie permette di mantenere questa forma rotonda. Per la stessa ragione le gocce d’acqua e gli altri liquidi tendono ad assumere la forma rotonda.

Nei polmoni gli effetti della tensione di superficie sono molto importanti, considerando l’ampia area coperta dal surfattante, infatti affinché l’inspirazione possa avvenire i muscoli devono superare gli effetti della tensione di superficie così da espandere i polmoni. 

Tuttavia una volta che i muscoli vengono rilassati, la tensione di superficie non è più ostacolata, i polmoni sono richiamati e diaframma e torace li seguono. 

I muscoli intercostali e addominali possono, ovviamente, aumentare l’espirazione, accelerando o accentuando il processo ma a essere cruciale è l’abilità elastica dei polmoni a restringersi. Persone che abbiano i muscoli della respirazione paralizzati tranne il diaframma, possono ancora respirare senza assistenza, perché la tensione di superficie fornisce sufficiente opposizione al diaframma da consentire un respiro autonomo.

Questo spiega perché il diaframma a riposo si archi a cupola verso l’alto invece che abbandonarsi nell’addome, tirato dalla gravità; la tensione di superficie nei polmoni li mantiene contratti quando i muscoli respiratori sono rilassati.

Questa forza è più potente della gravità perciò il diaframma rimane sostenuto e tirato verso l’alto dai polmoni per mezzo della pleura. E’ interessante come le interazioni tra il movimento del diaframma e la gravità varino al variare della posizione del corpo. Se il corpo è eretto, la gravità tende a tirare in basso il contenuto dell’addome, il diaframma e i polmoni, opponendosi al ritorno elastico dei polmoni e facilitando la discesa del diaframma durante l’inspirazione. 

Quando invece si sta sdraiati sulla schiena, il diaframma è orientato verticalmente rispetto al pavimento e spinge le pareti addominali verso l’alto quando si contrae durante l’inspirazione, richiedendo una forza maggiore di contrazione del diaframma. 

Durante l’espirazione la gravità può entrare in gioco per tirare l’addome verso il basso quando il diaframma si rilassa, a questo punto il contenuto addominale, non più spinto dal diaframma contro gravità, sposta il diaframma rilasciato aiutandolo a recuperare la sua posizione regolare a riposo. Nessuno o minimo sforzo muscolare è necessario per controbilanciare la contrazione da inspirazione diaframmatica in questa posizione. 

Un’espirazione completa, oltre la posizione di riposo del diaframma, richiede sforzo muscolare attivo a controbilanciare lo sforzo di un’inspirazione completa, solo che questa volta il diaframma non c’entra niente. Dal momento che un muscolo si può contrarre solo in una direzione, ci sarà bisogno di un secondo muscolo, o forza, per un movimento attivo nella direzione opposta.

 Osservando le tre fasi del respiro completo, notiamo che ci vogliono tre set di forze opposte per un’espirazione estrema. Per questo motivo ci sono numerosi muscoli attaccati alle clavicole e si possono facilmente definire quali sono quelli per alzarle e quali quelli per riabbassarle per un ciclo completo inspirazione/espirazione. Allo stesso modo gli intercostali esterni sono bilanciati dagli interni, ognuno dei due gruppi esercitando l’azione opposta all’altro nella fase toracica del respiro.

Tuttavia non esiste un muscolo o gruppo di muscoli che si opponga al diaframma per produrre una contrazione esattamente opposta, esiste invece un gruppo di muscoli che può ottenere un risultato somigliante. Sono i muscoli addominali – quattro strati di muscoli che si incrociano a vicenda per formare le pareti frontale e laterali dell’addome.

Proprio come il diaframma spinge gli organi addominali in basso, causando l’incurvarsi dell’addome verso l’esterno durante la contrazione del diaframma, allo stesso modo quando a contrarsi sono gli addominali si verifica l’effetto opposto. La contrazione delle pareti addominali spinge gli organi addominali verso l’alto contro un diaframma che durante l’espirazione è rilassato, obbligandolo a risalire oltre la posizione di riposo, comprimendo e svuotando i polmoni più completamente di quanto il diaframma riuscirebbe a fare da solo.

Per riassumere, che sia nel manifestare il potenziale energetico contenuto negli alimenti, sia nell’influenzare lo stato funzionale del sistema cardiocircolatorio, sia nell’alterare il funzionamento del sistema nervoso autonomo e gli stati emozionali, il respiro gioca un ruolo cruciale nel mantenere l’integrità dell’organismo umano.

Respirare è un’attività fisiologica fondamentale che tocca il funzionamento umano a diversi livelli ed è perciò un’ideale finestra attraverso cui osservare e influenzare questi livelli.

L’ingannevole semplicità di questo processo apparentemente banale ha fatto sì che venisse trascurato in passato, nella nostra società sofisticata e complessa.

Solo recentemente l’uomo occidentale ha cominciato a esplorare gli aspetti più grossolani del respiro, generando un’onda di domande e speculazioni nel processo. I risultati di questa esplorazione promettono di essere di grande utilità pratica nel comprendere e modificare, ad esempio, il processo e il decorso delle malattie e/o degli stati d’animo.

 

Alan Hymes, M.D. è un chirurgo del torace e cardiovascolare. Hymes è un pioniere nel campo della ricerca sul respiro. Ha studiato le interrelazioni tra i modelli di respiro e le malattie cardiovascolari e l’uso del respiro nell’assistenza post-chirurgica.

 

Tratto da “Science of Breath”

 

 

 

 

MAX DAMIOLI > biografia completa

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