
“La mentalità vincente non è innata, te la puoi costruire, e nasce sempre in un momento ben preciso della tua storia”: Lorenzo Bernardi si racconta
“La mentalità vincente non è innata, te la puoi costruire, e nasce sempre in un momento ben preciso della tua storia”. Allenarsi a diventare, atleti e persone migliori, ecco la testimonianza di Lorenzo Bernardi.
Il suo nome è nella storia della pallavolo, legato a quella “Squadra” che ha segnato un’epoca non solo nella pallavolo italiana, ma in generale nella società civile e nello spot in generale.
Lorenzo Bernardi, pallavolista professionista, dal 1985 al 2005, con addosso i colori delle migliori formazioni italiane del periodo, conquista nove scudetti, cinque Coppe Italia, quattro Coppe dei Campioni, quattro Coppe CEV e due Supercoppe europee. In maglia azzurra, maglia che ha vestito ufficialmente 306 volte dal 1986 al 2001, vince cinque medaglie d’oro (Mondiali 1990 e 1994, Europei 1989, 1993 e 1995) e due argenti (Olimpiadi 1996 e Europei 1991). Nel 2001 la FIVB (Federazione Internazionale Volley) lo ha eletto “giocatore del secolo”, ma lui con la stessa determinazione con cui è sempre sceso in campo, ha scelto la panchina su cui è seduto oggi con il ruolo di allenatore.
Abbiamo imparato a conoscere il mondo dello sport e a riconoscerne i campioni che sono campioni ed esempio anche nella vita, oltre che in gara. Uno di questi è sicuramente Lorenzo Bernardi, per chiunque e in particolare per chi fa impresa, per chi è alle prese con quella sfida perenne che è avere a che fare con il genere umano, per chi lavora per obiettivi, per chi lavora in squadra.
Abbiamo avuto il piacere di averlo ospite durante uno dei “Caffè Pensanti”, le dirette Facebook di Evolution Forum Day, e il privilegio di poter ascoltare dalla sua voce la sua esperienza di atleta prima e allenatore ora.
Nel dialogo con Gianluca Spadoni, sono emersi gli aspetti umani e professionali che hanno determinato la carriera sportiva e la sua maturazione personale.
“Con la Pallavolo è stato colpo di fulmine -racconta Bernardi – non fulmine a ciel sereno, perché mio fratello maggiore già giocava, ma amore a prima a vista. Venivo dal nuoto, sport che ho praticato fino a quando qualcuno non mi ha proposto di provare a giocare a pallavolo, ed è stato come se fosse sempre stato il mio mondo, come se lo avessi sempre fatto. La persona che ha saputo cogliere le mie potenzialità e che ha permesso che mi innamorassi definitivamente della pallavolo è stato Marco Angelini: allenatore, amico di famiglia, persona di fiducia della famiglia e punto di riferimento mio dentro e fuori dal campo. Si è preso cura di me, allora quattordicenne, sia sotto il profilo sportivo sia umano.
Ho capito che la pallavolo poteva essere la mia vita quando nell’ “85 i miei genitori mi hanno accompagnato da Trento (dove abitavo) a Padova, la città dove si trovava la squadra che mi aveva voluto. Tutti scommettevano sul fatto che sarei tornato a casa in fretta, e forse solo per non dare loro questa soddisfazione ho fatto di tutto perché non accadesse. Poi la svolta, l’opportunità reale da cogliere è arrivata con la proposta di andare a Modena”.
Quando si è così giovani non è semplice gestire il successo, resistere al richiamo delle sirene, non lasciarsi distrarre, rimanere concentrati e centrati. In questo particolare aspetto la ricetta di Bernardi è stata sicuramente un mix perfetto di bravura e fortuna dice lui.
“Forse sono stato bravo, ma anche fortunato -spiega – Sono arrivato a Modena insieme a Velasco l’allenatore che tutti conosciamo, dal quale ho imparato l’attitudine mentale. Pensandoci bene, se pur con le dovute differenze, quando in questo periodo mi chiedono cosa bisogna fare secondo me, per essere preparati e pronti al post covid, penso possa essere significativa la mia esperienza. Bisogna fare quello che
ho fatto io tra il 1985 e il 1986, quando mi hanno detto chiaramente che per avere un futuro nella pallavolo avrei dovuto cambiare ruolo. Ho accettato la sfida, e come mi avevano paventato in due anni arrivai effettivamente in nazionale, ma ho dovuto accettare il cambiamento, di prendere tutto quello che avevo imparato e per cui avevo lavorato duramente fino a quel momento, farlo diventare un bagaglio importante di esperienza, e intraprendere un nuovo percorso, vivere un’evoluzione. Come ci viene chiesto oggi, di trovare una nuova normalità, ripartire, di imparare o trovare linee guida nuove, diverse. Di punto in bianco, rimettersi in gioco, capire che le gratificazioni (il successo), sono solo momentanee, per essere pronti a ripartire da capo. Sono convinto che la mentalità vincente non sia innata, te la puoi costruire, te la puoi creare e nasce sempre in un momento ben preciso della tua storia. Aa quel punto in poi la pallina di neve smossa diventa una valanga”.
Bernardi parla per esperienza diretta, lui ha vissuto sulla sua pelle gli effetti positivi e dirompenti di un cambio di prospettiva, di approccio alle cose.
“Ero in nazionale dall’87 ma i risultati stentavano ad arrivare, fondamentalmente mancava ancora la visione giusta. Nell’88 la prospettiva del cambiamento, sono stati posti degli obiettivi precisi: entrare nelle prime 4 squadre agli Europei e di seguito nelle prime 4 ai Mondiali. È risultato decisivo fare proprio quell’obiettivo, capire che è effettivamente un obiettivo tuo un tuo desiderio, e che l stesso desiderio è condiviso dalla squadra. Prendi consapevolezza delle tue capacità e che quelle capacità ti permettono di raggiungere l’obiettivo. Allora la determinazione del singolo diventa forza della squadra. Non ci sono più alibi, la domanda che ti fai è: cosa posso fare io per mettermi nella condizione di rendere possibile qualcosa. La colpa di un insuccesso non è più nei fattori esterni o di qualcun altro, hai solo permesso all’ avversario di giocare meglio e vincere. Se perdi è perché l’avversario ha giocato meglio. Un gruppo coeso verso un obiettivo ti permette di far emergere, di dare il meglio di te per raggiungerlo. È questa la dinamo che alimenta l’energia e la forza della squadra. Non eravamo i più forti in assoluto, tanto meno dal puto di vista fisico, ma eravamo mentalmente superiori. Eravamo consapevoli ed allenati a saperci confrontare con chiunque e in qualsiasi condizione. Non c’erano i giocatori più forti in assoluto, ma quelli che rendevano forte quella squadra in quel momento. Non eravamo amici, ma avevamo un obiettivo e su quello eravamo galvanizzati e tutto il resto passava in secondo piano. L’amicizia, può essere un plus, ma non è essenziale per raggiungere un risultato, specialmente nel lavoro. In questo contesto è importante sentirsi liberi di essere anche critici, di mettere in campo quella sana rivalità fondamentale per esprimere al meglio le potenzialità del singolo e della squadra. Un sentimento di amicizia non sempre ti concede questa libertà.
Il fattore campo non dovrebbe essere rilevante, ma allo stato dei fatti spesso lo diventa, cosa fare quindi per limitarne gli effetti?
“La pallavolo penso sia lo sport di squadra per eccellenza, prima di tutto non puoi tenerti la palla la devi passare e devi farlo velocemente e compiendo contemporaneamente il gesto tecnico e la scelta strategica migliore in quel momento. Ogni pallone fa la differenza, sarà sempre il singolo pallone a fare la differenza, quindi è fondamentale imparare che ogni singolo pallone (in allenamento e in partita) ha lo stesso valore. Ogni pallone che giochi è determinante e devi per questo giocarlo al meglio. In questo periodo ho sentito spesso di difficoltà incontrate per esempio nello smart working. Penso che spesso siano dovute al fatto che manchi la pressione dell’ufficio, solo perché non siamo abituati, allenati a lavorare a prescindere dal contesto, non siamo allenati a gestire il lavoro come lavoro ovunque lo si faccia, con stessa determinazione, volontà e attenzione”.
Ad un certo punto, nello sport come nella vita ci si trova davanti a dei bivi? Allora a cosa ci affidiamo per scegliere?
“Quando ti dedichi per tanto tempo a una cosa e ad un certo punto ti trovi ad un bivio a dover cambiare, hai due possibilità, optare per un cambiamento radicale, per me poteva essere mettermi la cravatta e sedermi dietro una scrivania, oppure di rimanere in campo. È qui che subentra una nuova volontà, un
nuovo ideale, un ulteriore obiettivo: mettere a disposizione dei giocatori la mia esperienza, le mie conoscenze, per aiutarli a dare il meglio.
Qual è un indicatore che fa dire questo ragazzo ha il potenziale giusto ed è importante insistere? Penso sia il perché: il perché della curiosità, la volontà di apprendere, per dare il meglio. Ho sentito il dovere di mettermi a disposizione per fare in modo che altri potessero pronunciare quel perché, e dare il meglio di se. Abbiamo il dovere morale di lasciare qualcosa di concreto, di usare le nostre capacità e la forza di volontà di formare persone che ogni giorno “brevettino” qualcosa di nuovo, di sostanziale. Inoltre come dico sempre ai miei ragazzi: Giochiamo per quello che ci alleniamo, veniamo giudicati per come giochiamo, è l’allenamento che ti permette di crescere, non la partita. Ci si migliora quando si gioca con chi è più forte di noi. In tutto questo la disciplina è fondamentale. Un progetto di successo, d qualsiasi natura, deve avere alla base poche regole, concrete, importanti e che devono essere rispettate. La disciplina insieme al senso di responsabilità delle singole persone, determineranno la possibilità di tornare alle normalità”.
Se hai voglia di vedere e ascoltare l’intervista integrale clicca sul video a seguire…
E se non vedi l’ora, come noi, di incontrare nuovamente Lorenzo Bernardi, iscriviti subito a Evolution Forum Day del 28 novembre 2020 a San Patrignano di Rimini, sarà uno degli ospiti della giornata… torneremo a parlare con lui di esperienza e nuove sfide.