Valentina – Emanuele Maria Sacchi
L’hotel Meeting è uno dei peggiori alberghi dove mi sia capitato di pernottare. Compare all’improvviso, dopo una curva, attanagliato da grandi fabbriche, alcune in disuso, e altre no. I viali periferici coi marciapiedi sconnessi, fuochi di prostitute negli anfratti e, poco più in là, una discarica di lamiere e vecchi elettrodomestici. L’hotel cerca di distaccarsi da quell’ambiente squallido di desolazione e di brutture con un’aiuola bistrattata e alcune allucinanti insegne al neon. Cerca di risollevarsi da quel contorno grigio senza riuscirci. Tuttavia è l’unico hotel della zona e, dovendo lavorare da quelle parti, non avevo scelta. Andavo spesso all’hotel Meeting, almeno due volte al mese e per un periodo abbastanza prolungato. E, nonostante fosse un luogo fatiscente e triste, io ci andavo volentieri.
Il motivo di questa scelta comunque positiva, il motivo… si chiama Valentina.
Valentina lavora al ristorante dell’hotel ed è la cameriera più brava, più attenta e più disponibile che io abbia mai incontrato; tra l’altro questo suo atteggiamento, che elargiva indistintamente a tutti gli ospiti del ristorante, rendeva quel luogo meno buio e più simpatico. Gli operai delle fabbriche della zona arrivavano nella grande sala stanchi e affamati; si sedevano pesantemente sulle sedie, e in attimo Valentina era già da loro, dolcissima, con i capelli raccolti e la gentilezza di chi vuole essere cordiale veramente: – Ciao ragazzi, vi porto al volo delle birre fresche intanto che date un’occhiata al menù?
Chi conosceva Valentina, già sapeva che quel ristorante era un angolo di attenzione, tuttavia io mi divertivo a osservare le facce e le espressioni dei nuovi arrivati; in effetti, l’accoglienza di Valentina al ristorante era memorabile: per chiunque entrasse, anche se la sala era piena, lei trovava sempre il tempo di andargli incontro, lo guardava negli occhi, lo salutava con la giusta cordialità e gli regalava un accenno, lieve ma sentito, di sorriso.
Se poi i tavoli erano tutti occupati, Valentina ti faceva accomodare al bar e si preoccupava che il barista ti offrisse immediatamente un aperitivo. Non dovevi quasi mai aspettare a lungo e, quando raramente accadeva, Valentina trovava il modo di dirti che l’attesa era quasi finita e si scusava. Io sono andato tante volte in quel ristorante e ho sempre visto Valentina speciale; con tutti. Sempre.
Se per caso ti mancava qualcosa, per esempio una posata, non dovevi restare mezzora con lo sguardo alzato, in attesa che qualcuno si accorgesse di te; Valentina sa esserci, puntualmente arriva e immediatamente rimedia.
Valentina ha le mani sciupate; di giorno lavora in una fabbrica chimica nelle vicinanze e la sera fa la cameriera in quel ristorante, credo per arrotondare. Non dev’essere un vita facile e, a maggior ragione, quella sua straordinaria capacità di essere gentile è encomiabile.
Io sono uno dei pochi ospiti del ristorante a indossare spesso la giacca e la cravatta e notai, da subito, come Valentina riusciva a rivolgersi a me in modo più formale. Non mi ha mai dato del tu, tuttavia il suo “buonasera, …benvenuto” è sempre stato dolcissimo, come il saluto di uno che, intimamente, sa essere tuo amico.
Essendo quasi sempre a cena da solo, in qualche occasione chiesi a Valentina se avesse un quotidiano da prestarmi, così da ingannare l’attesa. Sapevo che all’entrata dell’hotel, sui tavolini della hall, c’erano almeno una decina di giornali a disposizione degli ospiti. Un cameriere qualsiasi sarebbe andato a prenderne uno a caso, magari pensando che avrei potuto anche arrangiarmi da solo. Non Valentina. Lei, la prima volta che le chiesi un giornale, mi rispose: – Certamente, vado subito a prenderlo; posso chiederle se c’è un quotidiano che preferisce?
Le altre due volte che chiesi un giornale a Valentina, lei naturalmente si ricordava perfettamente quale fosse il mio quotidiano preferito, e puntualmente mi portò quello. Ma Valentina sapeva andare oltre, oltre qualsiasi aspettativa e immaginazione: i giornali degli hotel, quelli a disposizione degli ospiti e lasciati sui tavoli, la sera sono spesso stropicciati e aperti su una pagina qualsiasi. Valentina li risistemava con cura, cercando di stiracchiarli come meglio poteva e li porgeva ai suoi ospiti con la prima pagina in evidenza. Dopo tre volte pensai bene di arrangiarmi da solo e di prendere il giornale nella hall senza scomodare Valentina. Lei arrivò al mio tavolo e disse: – Vedo che si è procurato il giornale da solo… guardi che per me è un piacere portarglielo!
Valentina sapeva rimproverare con dolcezza e la sera dopo, quando entrai nel ristorante, trovai il mio giornale direttamente sul tavolo.
Ripeto: sono andato tante volte in quel ristorante e ho sempre visto Valentina speciale. Con tutti.
L’ho sempre vista solare, attenta e premurosa.
E sai una cosa?
a lei non l’ho mai detto
Proprio io, che faccio questo mestiere, che parlo e che scrivo di attenzione e di come dare feedback, proprio io… avevo sbagliato clamorosamente.
Avevo pensato mille volte quanto fosse brava, unica e speciale e non avevo mai trovato un momento per dirglielo. Avevo incartato mille volte un bel regalo per Valentina e non avevo mai saputo donarglielo.
Fu così che, pensando a questa stupida incoerenza, tempo fa, recandomi in quello stesso ristorante, arrivai pieno di buone intenzioni, pronto a recuperare il tempo perduto, deciso a dirle qualcosa tipo “sa che lei, per me, è davvero bravissima?”. Una cosa così, semplice. Quella sera uscii dalla mia camera quasi di corsa, scesi con l’ascensore nella hall malandata dell’hotel, raccolsi il mio giornale dal divano di velluto sgualcito e con l’animo pieno di un’improvvisa euforia entrai nel ristorante.
Valentina non c’era più.
Al suo posto due camerieri, trasandati e scialbi come quell’hotel, vagavano tra i tavoli. Gli ospiti, mestamente, si erano subito adattati a quell’atmosfera dimessa.
Valentina se n’era andata.
Per lei, ti dirò, ne sono stato contento. Magari ha trovato un lavoro migliore.
Ma per me, e anche per lei, un po’ mi dispiaceva.
non avevo fatto in tempo
Non avevo fatto in tempo a regalarle quelle gratificazioni, quegli apprezzamenti, che certamente si meritava. Non avevo fatto in tempo, e questo mi bruciava tantissimo.
Hai presente i “grandi dimenticati”?
I grandi dimenticati sono quelle persone a cui vogliamo bene o che stimiamo professionalmente, ma è troppo tempo che a loro non lo diciamo. In testa all’hit parade dei miei grandi dimenticati c’è mio padre. Mio padre è un tipo serio e razionale. Mio padre non mi ha mai detto che mi vuole bene; io so che mi vuole bene, tuttavia lui non me l’ha mai detto. Mio padre non mi ha mai abbracciato forte, come forse avrei voluto, specie quand’ero piccolo. Non mi ha mai stretto come avrei voluto che mi stringesse. Tuttavia non desidero certo fargliene una colpa. Ha tantissimi altri pregi.
Il guaio è che io stavo commettendo lo stesso errore con i miei due bambini. E allora no, allora decisi di ribellarmi; io voglio abbracciare i miei bambini, voglio dir loro, con gioia, che voglio loro bene, e vorrei tanto che loro lo dicessero a me. Ma, forse, oltre a farlo coi miei bambini, dovrei riuscire a farlo, a dirlo, anche a mio padre.
Così, una sera luminosa di ottobre, quando i viali alberati di Milano si ingialliscono, si spogliano e si concedono all’autunno, andai a trovare mio padre, per dirgli, finalmente, “papà, ti voglio bene”.
Scelsi il momento con cura. Mia madre era fuori; il film delle nove non era ancora iniziato. Mio padre era in soggiorno, tranquillamente seduto sul divano. Ero pronto, ero pronto a dire quelle brevi, stupide, tre parole.
Ma non ci riuscii.
Non riuscii nemmeno a entrare in argomento. Parlammo d’altro, di stupidaggini, e me ne tornai a casa imbarazzato di me stesso e anche arrabbiato. Io, che mi occupo di comunicazione, che parlo a un sacco di gente, non ero riuscito a dire a mio padre “ti voglio bene”.
Ci riuscii due settimane dopo. Lo dissi e lui ascoltò quelle tre parole. Annuendo commosso, fu come se mi ripetesse quella stessa semplice e meravigliosa frase.
Fu una delle serate più belle della mia vita.
Cara amica o caro amico che mi stai leggendo, io non posso sapere cosa ti lasceranno queste pagine; probabilmente ogni lettore si porterà a casa qualcosa di diverso. Tuttavia una cosa credo, spero, mi auguro, che tu vorrai fare tua: quando incontrerai Valentina, cioè una persona che si merita un apprezzamento, e forse tutti meritano in un modo o nell’altro un apprezzamento, quando l’incontrerai…
…mi auguro che tu non commetta il mio stesso errore.
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